Venerdi Santo – Per la preghiera a casa

Venerdi Santo – passione e morte di Gesù

Cerchiamo di sostenere Nostro Signore nel suo calvario, ritroviamoci sotto quella croce simbolo, nello stesso tempo, di morte e di amore.

Come se fossimo tutti insieme in Chiesa, al momento indicato, rendiamo grazie a questo sacrificio con il bacio alla croce.

Segno di croce

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 19,25-30)

Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.

Riflessione

Il venerdì santo è desolante. Sotto la croce ci ritroviamo a pensare che il male – nelle sue varie, concretissime forme: dalla sofferenza causata dalla malattia o dalla violenza della natura al male che noi stessi facciamo e ci facciamo, dal pettegolezzo viscido alla potente distruzione della guerra – tutto questo male, sempre cieco, meschino e senza senso, uccide la nostra speranza, la voglia di crederci e provare ancora a costruire qualcosa. Ci fa sentire presi in giro, quasi: perché ritrovarci a vivere, ad avere progetti, desideri se poi basta un niente, la violenza di qualcuno e tutto viene spazzato via?

Il male ci annienta, ci riduce a essere delle persone che vogliono solo tirare avanti: “Se le cose stanno così”, ci diciamo, “posso solo tentare di sopravvivere con i miei cari, con quelli che mi sono più vicini”. Il male frantuma la società, le comunità. Ci rende bestie che avanzano a testa bassa per non vedere più nessuno.

Il male ci riduce a cocci che hanno paura e usano gli angoli appuntiti e taglienti per difendersi, per ritagliarsi uno spazio di sopravvivenza, per scavare confini, per tranciare di netto legami. Addirittura per ferire e sperare di poter ottenere dall’umiliazione di altri un po’ di sollievo per la propria impotenza.

In tutto questo tumulto di cuori spezzati e frantumati, in mezzo alle lacrime e al grido di chi si sente senza scampo, chi crede non dice parole a caso, quasi non conosce più parole di conforto. Conosce solo il silenzio e la condivisione del dolore, forse. Perché non sa, non capisce, come tutti gli altri. Perché non ci sono ragioni per questo, non ci sono spiegazioni. E tentare di darne è una violenza spesso una violenza più orrenda del male stesso.

Gesù è come noi e con noi, un coccio spezzato. Ma nella disperazione, incredibilmente, continua ad aver fiducia nelle possibilità dell’uomo: chiede a un gruppo minuscolo, due persone appena, di continuare a essere comunità, di continuare a essere cocci che provano nonostante tutto a stare uniti e a costruire una strada su cui possano incamminarsi anche altri.

Durante un momento di silenzio ognuno venera il crocifisso come desidera: con un bacio, un inchino, una carezza, qualsiasi gesto che esprima il nostro sentirci vicini a lui.

Preghiera

Gesù, fratello che conosce il patire,
con la testa appoggiata al legno della croce,
piangiamo per tutto il dolore che proviamo
e che vediamo intorno a noi.

Gesù, crocifisso che spera ancora,
i tuoi piedi e le tue mani sono stati inchiodati,
ma chiedi di tenerci per mano
e camminare insieme.

E per questa tua fiducia in noi,
per la forza che ci dai nella tua debolezza,
sei presenza silenziosa del Padre,
il Dio che da sempre ci aiuta
ad aprire strade dove vediamo solo macerie.

Facciamo un silenzio prolungato in cui  ricordiamo le persone e le situazioni per cui vogliamo pregare, cercando di abbracciare con la preghiera tutto il mondo.

Padre nostro

Segno di croce

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